Amanda Greavette, The birth project

Racconti del parto, voci di donne sull’esperienza della nascita

Tutti i racconti sotto riportati sono stati scritti dalle meravigliose donne che hanno partecipato agli incontri delle Nove Lune, yoga in gravidanza e preparazione al parto attivo.

Potete lasciare dei commenti alla fine se lo desiderate, o condividere parte della vostra esperienza di parto con le altre donne….

Il Racconto di Laura, attrice e danzatrice

Mi sono avvicinata al parto con un mantra nella testa “Andrà esattamente come è giusto che vada per Noi, e non dipende tutto da me”.
Forse ne avevo più paura di quanto riuscissi ad ammettere. Perchè ho proprio studiato tantissimo, letto, ascoltato, visto video, frequentato corsi. Più di uno. Il mio compagno mi prendeva in giro, inventando titoli ironici per il mio approccio così diligente: “Bocciata al corso preparto: gravidanza da rifare.” 
Voler sapere “tutto” forse era il mio modo per tenere a bada la paura; ma è vero anche che sono sempre stata attratta dall’evento del parto
Nella vita di una donna, pensavo e penso si tratti di un’occasione tra le più intense e profonde per connettersi a quella matrice ancestrale, trasversale ad ogni cultura, al regno animale anche, che da sempre mi appassiona e mi affascina.
Del dolore mi interessava poco. Mi spaventava molto di più trovarmi “nelle mani” di qualcun altro, in un contesto di delega del proprio potere e volontà personale come può essere l’ospedale. Che meno male che esiste quando emergono problematiche, ma considero il parto un evento fisiologico e non patologico, nella maggior parte dei casi. 
Mi fidavo invece di me stessa, del mio bambino, del sapere dell’ostetrica che avevo scelto per affiancarmi
Ho nutrito la mia attesa con intenzione e cura: yoga per il parto attivo, visualizzazioni positive del travaglio e del parto, racconti di consapevolezza e potere femminile, un blessing way da condividere con le donne più importanti nella mia vita (mancava la mia mamma per problematiche logistiche varie ma era certamente lì col suo cuore, e forse era giusto che la “madre” lì, fossi io), conoscenze ostetriche e letture utili da ogni punto di vista.
Mi si sono rotte le acque alla 36esima settimana. Ero incredula, forse ancora maggiormente proprio perché me lo aspettavo. Me lo sentivo che il mio bimbo sarebbe nato in anticipo. Ricordo, mentre ero seduta sul wc in bagno quella mattina, che scuotevo la testa e mi dicevo, “ma veramente sta andando così?”Ci ho messo comunque più di un’ora ad accettare l’evidenza e a rassegnarmi.

Avevo lasciato aperta la possibilità di partorire in casa fino a pochi giorni prima. Finalmente avevamo deciso che, se tutte le condizioni si fossero mantenute adatte, io e il compagno avremmo affrontato questo evento così importante tra le mura della nostra nuova casa. Che era pronta, appunto da pochi giorni. E le condizioni così, adatte non lo erano più. Avrei partorito in ospedale. (Le linee guida per il parto in casa consentono questa scelta a partire dalla 38 esima settimana). 
Me lo sentivo? Sì, da qualche parte dentro di me, sentivo che il parto in casa per noi sarebbe rimasto solo un desiderio, che non sarebbe stata la nostra storia. Eppure quel desiderio ha comunque guidato tante scelte, decisioni, circostanze. Le cose si compiono, procedono, non puoi davvero guidarle ma solo “andare con” esse. 
Ho partorito semi-accovacciata, ai piedi del letto della sala parto, stringendo con le mani quei poggiapiedi da poltrona ginecologica. Il mio compagno mi sorreggeva sotto le ascelle, seduto alle mie spalle sul lettino. Le ostetriche di fronte a me, anzi quasi sotto di me.
Ho chiamato mio figlio per nome, Pietro Andrea, tante e tante volte durante il parto e nel travaglio. Gli dicevo “mamma ti aspetta, vieni Pietro”. Sognavo un parto col sorriso sulle labbra ed è accaduto. Le ostetriche mi raccontano che avevo il viso disteso e sorridevo mentre veniva alla luce. Sono enormemente grata alla Vita per averlo vissuto così.

Avevo coltivato con cura il mio immaginario di quell’istante. Ho avuto paura, a più riprese, ho temuto di non farcela, come capita a ciascuna, lo sapevo, e col respiro e le immagini di ciò che desideravo, oltre alle cure della mia “squadra” ho ricevuto sostegno e coraggio. 
Nessuna lacerazione, punti di sutura o altre manipolazioni e interventi medici. Non ho avuto induzioni, né anestesie. E’ stato un parto naturale, governato dall’ossitocina. 
Tutto il travaglio, l’ho potuto “danzare” e soprattutto “cantare” in una stanza singola dell’ospedale. Per questo lusso, che mi ha permesso di vivermi il parto nella maniera più vicina a quanto desiderassi, e cioè con più privacy e intimità possibile, devo ringraziare una delle ostetriche in particolare che mi ha concesso quella condizione, proteggendo me e il mio compagno da invasioni e “procedure” diverse.

Ho vocalizzato per ore, note e volumi mai toccati prima. Senza inibizione, mi aiutavano ad attraversare l’onda delle contrazioni. A volte gravi, a volte acuti, non si trattava di urli ma di suoni, vibrazioni. Ho cambiato posizione decine di volte, usando il mio corpo in tutti i modi, per sopportare meglio il dolore. Ad un certo punto ero quasi a testa in giù dal divanetto in cui mi trovavo, col rebozo intorno alla pancia per permettere al mio compagno e all’ostetrica di fare una certa manovra che avrebbe aiutato il piccolo a posizionarsi meglio. Ce lo avevano insegnato al corso preparto pochi giorni prima e le ostetriche presenti erano piacevolmente sorprese della nostra preparazione.
Con il mio compagno abbiamo anche danzato come in una “contact improvisation”, le ostetriche ci guardavano con discrezione e le sentivo sorridere. Siamo attori per mestiere e per indole nella vita, e lo siamo stati in qualche modo anche durante questo evento, totalmente immersi nello spettacolo che stavamo vivendo. Ho sudato copiosamente, ho vomitato il cannolo siciliano che avevo chiesto al mio compagno di portarmi per colazione, e l’intestino si è svuotato a più riprese, senza che riuscissi a raggiungere il bagno il più delle volte, durante il mio travaglio, ma mi era chiaro che tutto questo, per quanto imbarazzante e spiacevole, non fosse né così strano, né particolarmente rilevante per i miei “compagni di viaggio”. Non ho provato vergogna. 

Il mio corpo, al timone, mi guidava. Sembravo una lupa e seguivo un istinto, cercando di far tacere la paura nella mente.

E’ stato un lavoro di squadra senza dubbio, mio e di mio figlio, ma anche del papà e delle tre ostetriche che mi hanno accompagnata e “custodita” nel mio viaggio. Le ho ringraziate in molti modi e continuo a farlo anche adesso.


Il Racconto Di Francesca, organizzatrice di eventi

Vittoria è nata in una soleggiata giornata di maggio, con la luce dell’alba. Arrivata due settimane prima del termine e con parto precipitoso, ha trasformato la mia vita. Il giorno prima della rottura delle acque avevo fatto una potente meditazione per portare guarigione alla linea di discendenza femminile. Sentivo, in fondo al cuore che, dopo questo incontro, Vittoria sarebbe “emersa”. 

E così è stato: son entrata nel “labirinto” di notte, desideravo un parto naturale, in profonda connessione con la mia bambina. Per evitare aghi e anestesie (ovvero quello che avevano prospettato i dottori) ho iniziato a parlare con Vittoria, continuamente e con fermezza, chiedendole di nascere alla prime luci dell’alba. Lei mi ha ascoltata. Son entrata in sala parto scalza, con la forza esigenza di sentire e avere il contatto con la terra. Accoglievo e accompagnavo i forti dolori, come se a ogni contrazione scalassi una montagna. Pronta ad accogliere l’esperienza, quello che si poteva e quello che non si poteva prevedere. 

Totalmente a nudo, senza vergogna, senza paura, libera nel corpo e nella mente ho urlato con voce che non credevo di avere, in trans, sempre più libera, a tratti come se volteggiassi su me stessa in una danza tribale, in altri come se ruggissi, a carponi, come una leonessa. Sola sì ma con al mio fianco Filippo, mio marito, testimone silenzioso di nascita. Ho partorito con la forza di una amazzone e secondo i miei desideri. Insieme a Vittoria, il 7 maggio, son nata anche io. Ho sentito la sua prima voce insieme alle campane che suonavano le cinque del mattino. 

Vittoria fuori da me era morbida, dolce, e la sua placenta, che Filippo e io abbiamo guardato e toccato, era a forma di cuore. Averla su di me per darle l’abbraccio più magico della mia vita è stato così bello da non trovare le parole, come sentire piena ogni parte di me, le mani, gli occhi, le braccia, le orecchie, lo stomaco, le gambe e poi giù fino ai piedi.  Con Vittoria ho scoperto che essere mamma è un privilegio e io sarò sempre grata all’Universo per avermi reso protagonista di  questo dono. 


Il Racconto di Leila, assistente all’infanzia e tagesmutter

Ero al telefono con la mia migliore amica, Laura, quando mi sono accorta di aver perso il tappo mucoso: Presa da una forte emozione ho scritto alla mia ginecologa, la quale mi ha risposto di non preoccuparmi di niente, che non c’era alcun motivo di allarmarsi. Erano ormai diversi giorni che mi sentivo molto stanca, la pancia ormai mi pesava tantissimo e ciò nonostante tutte le mattine mi applicavo nel saluto al sole: La data prevista del parto era il 15 marzo ma ho sempre saputo che avrei partorito prima. Sono uscita verso le sette di sera per raggiungere il mio compagno, Fabio, durante il tragitto in metropolitana mi rendevo conto di essere davvero vicina: una sensazione inspiegabile me lo lasciava intuire: un lieve sudore, l’affanno più forte, l’insofferenza ma anche un senso di pace. Ci siamo incontrati, abbiamo mangiato una pizza, camminato, io ho voluto un grande gelato al cioccolato con la panna e infine ci siamo anche concessi un cocktail (analcolico) in un bel locale. Ero molto allegra, ridevo in continuazione. In tarda serata abbiamo raggiunto alcuni amici per festeggiare un compleanno e qui tutto è iniziato.

Ricordo perfettamente che qualcuno stava aprendo una bottiglia di vino e io nello stesso istante stavo parlando con una ragazza, Diana. Contemporaneamente ed improvvisamente ho sentito dentro di me lo stesso rumore della bottiglia di champagne che stavano aprendo: PPAC! mi sono guardata tra le gambe, ho afferrato il braccio di Diana e lei mi ha guardato dicendo: si! Avevo rotto le acque. Sono corsa in bagno, c’era tanta gente e io non capivo davvero nulla, avevo paura e mi veniva da piangere dalla forte emozione. Il mio cuore ha iniziato a battere forte, mi sono sentita come quando devi buttarti da un trampolino altissimo, in un attimo ho realizzato ciò per il quale da diverso tempo mi stavo preparando: la mia vita stava per cambiare, per sempre. Hanno chiamato un taxi , io e Fabio siamo saliti e un folla di gente ci salutava gioiosa fuori dal locale. Io invece piangevo, piangevo come una bimba che diventa grande.

Arrivati all’ospedale Fabio mi ha lasciato al pronto soccorso con le ostetriche ed è tornato a casa a prendere la mia valigia. Gli ho chiesto di accendere la mia candela bianca, quella che avevo usato durante il blessing way. Abbiamo aspettato Fabio, poi ci hanno trasferiti in una stanza. Ricordo perfettamente che la prima cosa che ho visto in questa stanza è stato un quadro dove c’era dipinto un grande fiore di loto rosa. Ho subito centrato questa immagine dentro di me cercando di rilassarmi, i dolori però sono iniziati fortissimi e ricordo che molto velocemente sono diventati continui. Non riuscivo a fare nulla, appena arrivava la pausa tra una contrazione e l’altra cambiavo posizione ma la contrazione arrivava più veloce e più forte, non mi dava fiato. Sono entrata nella doccia caldissima e ci sono rimasta per circa due ore mi hanno detto. Ormai il tempo per me non esisteva.

Ho iniziato a vocalizzare la U, respiravo forte dal naso e appena sentivo la contrazione che arrivava forte iniziavo Uh…Uhh….Uhhhhh…Ho tenuto per molto tempo le mani nella posizione di Apan Mudra, appoggiate sulle mie ginocchia mentre sedevo dentro la doccia, questo mi ha aiutato molto a sopportare i dolori, a non perdermi e a lasciare che il mio corpo cedesse alle contrazioni.

Ad un certo punto ho vomitato fortissimo, per due o tre volte.Dopo poco ho cominciato a non farcela davvero più, ho chiesto l’epidurale ma non volevano farmela. Insistevano che stava andando tutto velocemente, che ero molto brava, di sopportare ancora…io ero davvero stremata. Avevo iniziato letteralmente a temere le contrazioni. Erano troppo forti e troppo vicine! A quel punto mi hanno portato in sala parto, mi hanno lasciato ancora un po’ da sola con Fabio e un’ostetrica che stava finendo il turno poi è arrivato l’anestesista. E’ durato un attimo il momento dell’epidurale, e fortunatamente mi hanno iniettato poco anestetico. Questo mi ha permesso di sentire molto bene le contrazioni e anche il dolore ma non più a temerlo, cosicché, in breve tempo, sono passata da 6 cm a 10 cm ed è arrivata Giulia, la mia ostetrica. Le ho subito detto che avevo paura che mi facessero il taglio cesareo perché durante l’ecografia di accrescimento una ginecologa, senza alcuna empatia e con grande freddezza mi aveva detto che Ernesto aveva la testa grande e che correvo quel pericolo. L’ostetrica si è arrabbiata, mi ha tranquillizzato, ha guardato il mio bacino e mi ha detto che non c’era motivo di avere paura. E’ letteralmente diventata il mio faro. Ricordo che mi ha fatto i complimenti ad un certo punto, diceva che stavo gestendo bene le contrazioni e mi ha chiesto con chi mi fossi preparata: le ho parlato delle Nove Lune. Non so quanto tempo sia passato, tutto mi girava intorno e io ero lì e altrove. Spingevo, mangiavo le caramelle al miele di Susanna, il cioccolato e bevevo tantissima acqua.

Ernesto ha iniziato ad avere la tachicardia e in pochi istanti nella sala parto sono entrate la ginecologa e un’altra ostetrica. C’erano quattro o cinque persone e ho avuto paura.Mi hanno detto che mi stavano per fare un taglio in vagina, per aiutare Ernesto ad uscire. Poi si sono tutte fermate. Le due ostetriche hanno iniziato a farmi spingere guidandomi; ero sdraiata e mentre una di loro mi tirava a se con le braccia incrociate io tiravo lei verso di me, intanto Fabio e la ginecologa mi tenevano le gambe piegate all’indietro verso le orecchie. Ad un certo punto ricordo che Fabio mi ha detto: “Leila vedo la testa”. Io mi sentivo esplodere e la mia ostetrica mi metteva le pezze calde sulla vagina. Continuavo a dire Ernesto esci, amore esci e urlavo, ancora la U.

Poi è successo. 2 Marzo 2019 è nato il mio Ernesto, 3640kg una giornata di splendido sole e Milano marciava per la pace. Non ricordo alcun dolore.

Ho spinto ancora poco ed è uscita la placenta, ho voluto guardarla, era bellissima. L’ostetrica ha riflettuto un attimo se darmi alcuni punti e infine me ne ha dati due, poi mi ha detto: “ora vai a dirlo alla ginecologa che ti ha detto che avresti avuto un cesareo”-abbiamo riso-.

Dopo qualche minuto Fabio ha tagliato il cordone e ci hanno lasciati soli per più di due ore. Abbiamo messo della musica e ho attaccato Ernesto al seno, ricordo le sue manine lunghe, il suo musino gonfio e il suo modo -che ora conosco così bene- di ciucciare il latte. Io, Ernesto e Fabio siamo usciti sfiniti e felici dalla sala parto baciando e ringraziando le ostetriche, innamoratissimi del nostro meraviglioso bambino e pronti a questa nuova vita insieme.

Il Racconto di Elisa, sarta teatrale

Ricordo la gravidanza come un “tempo sospeso”, un periodo di serenità interiore e rilassatezza fisica. Così come l’arrivo di un bimbo lo abbiamo accolto con serenità e gioia, quasi incoscienza, così i nove mesi sono trascorsi altrettanto lieti. Le scadenze mediche mi riportavano alla realtà, per il resto la mia mente, di solito molto pragmatica e razionale, viaggiava in un mondo parallelo.. quello dove non esisteva la negatività, solo l’ottimismo e la consapevole accettazione degli eventi. Credo che questo mio atteggiamento mi abbia permesso di vivere anche il parto con naturalezza e serenità, che infondo, è quanto ogni donna può desiderare. Quella bolla temporale mi ha accompagnata fino al giorno della nascita, perché anche in quel momento il tempo sembra dilatarsi.. poi ti accorgi che sono passati solo pochi minuti.. o forse ore! E i ricordi si accavallano, si perde la lucidità, il tuo corpo sembra non appartenerti più. Per fortuna il mio compagno è il più prezioso testimone di quelle ore di travaglio.Oggi Alessandro ha 18 mesi. Da tempo, anche sforzandomi, non ricordo il dolore del parto. Ho sofferto? Per me no…Ed è proprio come tutte le madri dicono: il dolore è immediatamente cancellato dall’estasi della visione di quella nuova creatura, tutta tua.

I ricordi più nitidi risalgono a qualche giorno prima dell’evento, quando sono passata dal ginecologo per l’ultima visita prima della data del termine (2 marzo). Mi ha fatto sdraiare sul lettino, eseguito una veloce ecografia esterna e poi controllato internamente con delle piccole pressioni a che punto era il collo dell’utero.“Tutto bene, ci siamo” dice. “Pratichiamo un po’ di scollamento per sollecitare il pupo?” prosegue. “Che scollamento?!?” dico io. “No, no, no.. mio figlio non deve nascere a Febbraio!”Non chiedetemi perché.. ma l’idea che nascesse a Febbraio mi irritava terribilmente.Quella sera noto qualche perdita. “Ecco.. è fatta..” ho iniziato a pensare. Poi piccole contrazioni. Col tempo sempre più cadenzate. Parlavo con il mio bambino. Continuavo a ripetergli di attendere ancora qualche giorno, che avrebbe dovuto nascere secondo il termine, respingevo l’idea che si stava avvicinando quel momento. Lui era pronto, ed io? Forse no? Ma sì che lo ero! Mi ero preparata tanto! Da sola, in compagnia del cerchio delle Nove Lune, con il corso pre-parto dell’ospedale, leggendo, meditando..

Poi all’improvviso ho capito: da quel momento sarebbe stato Lui a condurre la situazione, non potevo più resistergli.. solo lasciarmi andare. Così ho fatto. Ho acceso la candela del Blessing Way, mentre Mauro mi riempiva la vasca di acqua calda e segnava su un post-it la cadenza e la durata delle contrazioni. “Chiamo il taxi?” mi ripeteva. “No, no.. aspetta..” Lo vedevo perplesso, ma mi assecondava..Non volevo arrivare troppo in anticipo (come da raccomandazioni delle stesse ostetriche). All’alba ci siamo recati in ospedale, subito visitata e collegata al monitoraggio. Da quel momento conservo flash di ricordi. Ricordo che ho provato diverse posizioni, suggeritemi anche dall’ostetrica: prima seduta, poi in piedi con i gomiti appoggiati sul lettino, e così ho perso le acque. Poi, quando l’urgenza di spingere si faceva sempre più forte, mi sono letteralmente aggrappata al collo del mio compagno: gridavo, cavalcando le onde delle contrazioni, e lui gridava con me! (Credo di essere riuscita a trasmettergli quell’energia, perché alla fine, anche lui era senza voce e con il collo tutto contratto). Ricordo una sensazione come di “risucchio”.. all’apice della contrazione spingevo, e la testa scendeva, quando l’onda si affievoliva mi sembrava di sentirla risalire.. Lì mi sono concentrata. “Ale..” ho pensato “ti prego, è ora di uscire!”

Alle 11.59 è nato Alessandro.Il parto più naturale del mondo.. quello che avevo desiderato. Ricordo che era una giornata di sole, uno splendido sole di fine Febbraio. E il mio bambino ce l’ha il sole, dentro. Il papà si è goduto tutto il momento espulsivo, il taglio del cordone ombelicale, la visione della placenta. Io sono riemersa dal tempo sospeso solo quando l’ho preso in braccio, quello scricciolo pelato.. e continuavo a ripetermi “è così bello!” Sono seguite due ore di intimità, noi tre soli, in quella sala parto blu. I messaggi alla famiglia, la chiamata a mio padre, che singhiozzando dalla gioia non trovava nemmeno le parole giuste da dirmi. La grande emozione aveva pervaso tutti. Non posso che essere grata dell’esperienza che ho vissuto, e di come l’ho vissuta. Per il fatto che mi sono preparata consapevolmente durante l’attesa e che poi, nel momento di maggiore irrazionalità, ho riposto completa fiducia nel mio istinto innato di donna, fuso a quello del mio bambino. Grazie Vita!

Il racconto di Elisa, Imprenditrice

L’esperienza del parto è stata sicuramente un’esperienza molto forte e intensa, come immagino per ciascuna donna. L’aspetto che più mi ha colpito è stato una sorta di sdoppiamento che ho vissuto. A tratti ero dentro di me e a tratti era come se mi vedessi da fuori. Anzi il tutto era in contemporanea possiamo dire. Ero al contempo dentro e fuori di me. Dentro di me, nel vivere questo dolore crescente e queste onde che sono state le contrazioni. Fuori di me perché mi vedevo dal di fuori, lucida e consapevole. Sentivo le voci delle ostetriche ed ero super cosciente di quanto accadeva intorno a me, di quello che loro si dicevano, dei commenti, della meccanica che si svolgeva intorno a me. E io mi vedevo, ma soprattutto mi sentivo, dal di fuori.

Le prime contrazioni sono partite a casa, dopo una doccia mattutina. E ho presto sentito la necessità di mettere su della musica. Non musica a caso ma Nada con il suo “Amore disperato”. Non dimenticherò mai quei primi vocalizzi per calmare il dolore, con il “Ah, ahaha, ahhha” del ritornello come mantra del mio parto… E insieme a Nada tutta una playlist proposta da Spotify di musica anni 70 (che tra l’altro non sono una fan di Nada e quindi ancora non mi spiego come ho sentito questa necessità assoluta di mettere questa canzone in sottofondo).

Il resto… sono state delle onde appunto. E “vivendomi” e vedendomi dal di fuori ho sentito la mia voce cambiare. Me lo avevano detto, che si sente dalla voce la potenza e l’intensità del procedere del travaglio. E così è stato per me. Mi sono sentita dal di fuori, vocalizzare, prima ancora cantare e addirittura sorridere. Poi i vocalizzi si sono fatti più intensi. Talvolta si tacevano e diventavano dei respiri ed espiri profondi. E poi sono diventate anche urla. Le urla della parte espulsiva in particolare erano urla che provenivano da un’altra voce. Non ero più io quella, non ho mai gridato così in vita mia prima. Erano urla che mi erano necessarie, per dare tutta la forza nelle spinte. Erano urla che provenivano da un mondo animale, non umano. Ed era necessario tenere la bocca aperta e spalancata, per prendere aria e per buttare fuori energia.

Ho sentito tanto l’energia dell’acqua nella parte delle contrazioni. Cercavo sempre di entrare nel flusso e di lasciare che esso passasse… cercavo di cavalcare quest’onda lasciandomi attraversare da essa. Ma non sempre è stato così facile.

Ho fatto quasi tutto il parto ad occhi chiusi. Cercavo di entrare in me e di cercare il mio centro. Mi concentravo nel lasciar passare questo dolore, lasciarmi attraversare da esso. Mi sono appellata alla forza e alla presenza di mio padre… ma non è stato così semplice. Gli occhi chiusi mi consentivano di stare dentro di me, ma soprattutto erano l’unica arma possibile contro il dolore. Non vedevo molta alternativa. L’ostetrica e il mio compagno mi sono stati molto di supporto, con aiuti fisici (con le mani poste sul bacino e la parte lombare) e anche con le loro voci calmanti (ricordo il mio compagno che mi diceva “ora passa, sta finendo, sta passando” e cercava di silenziarmi, non per mettere a tacere la mia voce ma per mettere a tacere il mio dolore).

Nella fase espulsiva invece mi sono sentita un lottatore di sumo. E’ l’immagine più forte e aderente alla realtà di quello che stavo vivendo. Ho seguito le indicazioni delle ostetriche (la mia più quella dell’ospedale, eccezionali entrambe) nel testare delle posizioni. Non mi sentivo così connessa con me stessa da sapere quale posizione adottare. Non mi è venuto naturale. Ma mi veniva naturale provare quelle che mi dicevano e capire se erano funzionali per me. Ad un certo punto sembrava che dovessi partorire in acqua… Ma l’acqua mi calmava le contrazioni. E’ stata molto utile in una fase in cui era da quietare il dolore, ma per la parte delle spinte sentivo che l’acqua non era il mio elemento. Non avevo controllo di quello che stavo per fare e che dovevo fare. Mi mancava l’apporto della terra e il suo sostegno.

La parte espulsiva l’ho fatta con molto ancoraggio a terra. Posizioni che facevano leva sulle mie gambe e proprio una posizione da lottatore di sumo è stata quella che ricordo più nitidamente e che ha dato il via ad una parte espulsiva intensa. Le mie gambe poi non riuscivano a smettere di tremare. I quadricipiti, quando mi fermavo tra una contrazione e l’altra, continuavano a tremare. Questo sia durante la fase espulsiva che nelle fase delle contrazioni e infine anche dopo, quando mi stavano mettendo i punti per saturare la lacerazione. Alla fine ho partorito su uno sgabello. Semi seduta ma sbilanciata, con il supporto dietro del mio compagno a cui ero letteralmente aggrappata. Vedevo lo specchio sotto di me. Di nuovo sentivo le ostetriche parlare, lì intorno a me. La parte più intensa è stata sicuramente la fuoriuscita della testa. E quel breve momento in cui le ostetriche mi dicevano di non spingere e io sentivo invece una forza dentro irrefrenabile che voleva solo uscire, un peso sul basso ventre e una potenza deflagrante che non volevano essere contenute. Non ho sentito forte il supporto e apporto del mio bambino nella fase espulsiva. Sentivo quando dovevo iniziare a spingere, ma non era così facile concentrarsi su quando smettere e sentire proprio il momento in cui la contrazione stava scemando. Poi la testa… l’ho sentita sulla soglia, tra i due mondi, per qualche spinta. Avvertivo proprio la mia vagina che stava prendendo questa forma circolare data dalla testa del mio bambino. All’ostetrica avevo detto che avevo sognato mio figlio con tanti capelli scuri. E che i bambini che nascono con tanti capelli non mi sono mai piaciuti…In quel momento la mia ostetrica mi dice “non è come lo hai sognato: è un pelatino!”. E’ stata una sensazione forte, di sapere che la testa era lì. E già visibile per il personale ospedaliero intorno a me.Una volta uscita la testa il bambino era praticamente già fuori. Credevo di dover fare ancora qualche spinta, credevo ancora di doverlo partorire. Invece era già nato. Ed è nato alle 2.15 di notte. Esattamente lo stesso orario della mia di nascita.

Non sapevo che la parte più difficile però mi aspettava proprio da quel momento… A causa della sindrome da aspirazione del meconio (ovvero dal fatto che durante la fase finale del travaglio il mio bimbo ha respirato il suo meconio) Emanuele è stato allontanato da me immediatamente dopo la nascita e portato in patologia neonatale. E non l’ho più visto fino alla mattina dopo…Ero molto dispiaciuta di non poter fare lo skin to skin, di non poter avere lì il mio bambino da tenere vicino a me, delusa che la conclusione del parto non fosse andata come me l’ero immaginata. Nonostante tutto, però, non riuscivo ad essere preoccupata del suo stato di salute. Chiamateli ormoni o una forza “altra” data dalla vita che avevo appena generato. Perché dopo ricordo bene di essere stata come ubriaca. Parlavo e dicevo cose senza filtro. Cose vere, ma proprio senza inibizione alcuna. Ero come brilla. Ho parlato con le ostetriche e la dottoressa mentre mi cucivano dalla lacerazione. Le gambe intanto, anche da sdraiata, non smettevano di tremare. Gli ormoni mi hanno portato letteralmente in un’altra dimensione. Dimensione di cui ancora oggi non mi capacito e un po’ anche mi vergogno. Mio figlio era in terapia intensiva. E io qualche piano sotto parlavo di cose “leggere”.

Fatto sta che sono sempre stata fiduciosa che il quadro clinico di Emanuele si sarebbe presto sistemato. Emanuele stava bene. Ne ero certa. E così è stato. Dopo 24 ore gli hanno tolto l’ossigeno che gli davano in culla, dopo poco più di 48 ore gli hanno tolto l’alimentazione tramite cordone per dargli il latte con il biberon. E al giovedì sera (quindi meno di 72 ore dopo) lo toglievano dalla culla termica e provavo ad attaccarlo al mio seno. Seno a cui è rimasto attaccato a lungo: l’ho allattato esclusivamente fino allo svezzamento e poi come complementare fino all’anno di vita.

Il racconto di Camilla, buyer

La notte non riuscivo a dormire anche se avevo sempre dormito bene in gravidanza. Stavo nel letto ascoltando i tuoni fuori e ascoltando i cambiamenti nel mio corpo che si stava preparando. La mattina dopo, una giornata stupenda di sole, iniziavano le prime contrazioni. Verso l’ora di pranzo erano più forti, come delle onde di dolore in cui potevo solo accettare la forza di quello che stava per succedere. Mi sono messa nella vasca da bagno godendomi l’abbraccio dell’acqua calda mentre le contrazioni diventavano sempre più forti e vicini. Poco dopo quando c’erano solo tre minuti tra le contrazioni abbiamo deciso di andare in ospedale. Verso le 18 siamo arrivati in pronto soccorso dove mi hanno tenuto perché mi ero solo aperta di 2 cm e non c’erano stanze libere nella sala parto. Sono stata per tre ore in pronto soccorso. Tre ore dove non riuscivo a vivere il travaglio come volevo. Nel letto con la macchinetta di monitoraggio non riuscivo a muovermi o respirare bene durante le contrazioni. L’acqua si era rotta e stava uscendo bagnando tutto: vestiti, scarpe, letto, pavimento, bagno. Per un po’ di tempo mi hanno fatto stare su una sedia nel corridoio con le contrazioni e con l’acqua che continuava ad uscire dappertutto. Mi sentivo in imbarazzo e non riuscivo a focalizzarmi sul travaglio. In alcuni momenti ridevamo di questa situazione comica tra l’acqua, urla, apermus ogni 15 minuti e sudore.

Dopo 2 ore in pronto soccorso mi sentivo di spingere ma secondo le ostetriche era ancora troppo presto per mandarmi in sala parto. Ho dovuto convincerli che il mio corpo voleva spingere  al più presto e finalmente mi hanno fatto un nuovo  controllo. Mi ero dilatata di 6cm. Mi sono messa a fare il mudra per velocizzare l’apertura a 10cm. Da lì in poi tutto é andato molto veloce. Mezz’ora dopo ero in sala parto, con una dilatazione di di 8-9cm e con l’ostetrica dedicata a me. Per la prima volta da quando siamo arrivati in ospedale mi sentivo tranquilla e pronta per fare entrare nostro figlio nel mondo.

Nei momenti tra le spinte ero molto lucida e parlavo con l’ostetrica di quello che stava succedendo. Era una ragazza di 24 anni con una bella energia allegra che mi faceva sentire a mio agio. All’inizio spingevo da una posizione seduta approfittando dell´aiuto della gravità. Poi l’ostetrica mi ha consigliato di sdraiarmi e lavorare sulle spinte in apnea. Ho seguito il suo consiglio e da li sono riuscita a fare delle spinte più efficaci. Mi concentravo sul seguire le sue istruzioni come tenere il bacino aperto, stare in apnea e portare le spinte giù nel basso. Non era facile seguire tutte le istruzioni ma mi fidavo di lei. Con le contrazioni sentivo una forza enorme e vedevo della luce bianca chiudendo gli occhi. Avevo anche visualizzazioni di una bocca di un animale grosso che si apriva mentre mi aprivo io. Quando poi l’ostetrica mi ha detto che con la prossima forte spinta il bambino sarebbe uscito ho deciso di non forzare la sua entrata in questo mondo. Mi sono sdraiata e ho aspettato la sua fuoriuscita lasciandogli il suo tempo quasi a dirgli  di farlo quando era pronto. Alle 23.25 Louis è entrato nel mondo e nelle mie braccia tutto calmo guardandomi con gli occhi grossi e io, guardavo lui con un amore infinito. Ero mamma e la mia vita era cambiata per sempre.    

Camilla e Louis, foto di Mirta Kokalj

      

IL RACCONTO DI VALENTINA, COUNSELLOR

Ho sempre avuto molta paura del parto…già prima di restare incinta. Ho seguito molti corsi, molti incontri, ho letto libri e chiesto ad amiche, sorelle, a mia mamma com’era stato per loro. Pochi di questi racconti erano rincuoranti, e quei pochi belli erano davvero belli! Ogni volta mi dicevo “quanto mi piacerebbe raccontare a mia figlia che la sua nascita è stata l’emozione più grande che ho provato…non il dolore più grande…non l esperienza più traumatica…ma la più mistica, la più unica, la più indimenticabile”

Ho scelto quindi di informarmi sulla possibilità di farmi seguire privatamente da un’ostetrica per fare il travaglio a casa ed il parto in ospedale. Sara è una donna che nella vita si è dedicata a far nascere bambini in molti paesi del mondo, una donna che sembra venire da altri tempi e luoghi, con i suoi lunghi capelli bianchi raccolti in una treccia e la sua aria fiera e forte....mi ha seguito durante tutta la gravidanza, visitandomi, rincuorandomi e dandomi consigli.

Emma sarebbe dovuta nascere il 28 febbraio di un anno bisestile… ogni volta che lo raccontavo le persone ridevano. Io non pensavo a quella come la data della sua nascita, me la immaginavo anche più in là…verso marzo. Di solito i primi figli si fanno attendere. Emma ha scelto tutto quello che riguardava la sua nascita. Ha scelto il suo nome e ha scelto quando nascere.

Ho avuto una gravidanza bellissima: sono sempre stata bene, ho sempre lavorato, camminato, guidato e danzato. Fino all’ottavo mese ho insegnato danza e praticato danza insieme ad Emma. Alla fine dell’ottavo mese mi sono decisa a prendermi una pausa per dedicarmi al suo arrivo. Non erano passata neanche due settimane da quando ero a casa che una notte, mentre dormivo, ho iniziato a sentire delle fitte all’altezza dei reni. Erano delle fitte simili al ciclo ma diverse perchè mi svegliavano. Davide mi massaggiava la schiena e mi riaddormentavo. Al mattino non sentivo più nulla, stavo bene come al solito e mancavano 2 settimane al 28 febbraio, quindi ho pensato “E’ presto saranno solo lievi contrazioni di avvicinamento”. Parlo anche con Sara, l’ostetrica, e anche lei mi conferma che possono essere solo lievi segnali di avvicinamento ma che ci possono volere ancora settimane.

Io sono nata sotto il segno dei Pesci, Davide anche. E’ strano per una coppia ma noi siamo entrambi pesci e ho sempre pensato che questo fosse il nostro punto di forza e di debolezza al tempo stesso. La data per la quale aspettavamo Emma cadeva sotto il segno dei Pesci...e questa idea mi piaceva moltissimo. Il segno precedente è l‘Acquario. La mia vita è sempre stata costellata di persone dell’Acquario con le quali ho sempre avuto rapporti di amore e odio…quindi nella mia mente avevo deciso che Emma non sarebbe stata un’acquariana. Ma l’avevo deciso io non lei.

Per questo quando ho sentito quella notte le prime contrazioni, può sembrare stupido ma in cuor mio ho voluto negare che stesse per succedere. Quando nasce un figlio ci immaginiamo e aspettiamo molte cose….come nascerà, come sarà, che carattere avrà…ma la vita è inaspettata e imprevedibile!

La giornata trascorre tranquillamente, vado al corso preparto, sistemo un pò casa, mi dico che quello che ho sentito di notte è stato solo qualche lontano segnale. Quella notte le contrazioni riprendono, una ogni tanto, più intense della notte precedente ma sempre sporadiche. La mattina però non cessano, ma continuano, sempre in modo sporadico. Avviso Davide che ogni tot mi scrive….avviso Sara che mi dice per il momento di stare tranquilla e di aggiornarci ogni due ore… vado a comprare la palla medica per il pilates…non so perchè, so solo che qualcosa o qualcuno dentro di me mi dice di farlo e questa volta seguo. Arriva l’ora della cena e già nel pomeriggio inizio ad usare la palla medica quando arriva una contrazione…mi ci siedo sopra e ruoto il bacino…mi dà sollievo….e respiro…

Proviamo a cucinare la cena ma ora la frequenza con cui devo andare a sedermi sulla palla medica e respirare si intensifica. Chiamo Sara che mi ascolta mentre respiro…le mie parole si fermano mentre sento la contrazione e lei mi spiega che forse nonostante sia così presto ci stiamo avvicinando al momento. Io penso…”Vicini quanto? Domani? dopo domani?” …Nessuno lo sa ma quello che ormai abbiamo capito è che si tratta di poco tempo e che la nascita di Emma è molto vicina. Sara mi dice che sta per prendere un taxi e viene a visitarmi…mentre la aspettiamo capisco che ormai ci siamo, siamo lì….che il mio travaglio, il nostro travaglio o il nostro viaggio è iniziato.... Sono seduta sulla palla medica quando mi si rompono le acque! Questa notizia mi manda in panico…durante il corso ti dicono che se ti si rompono le acque devi recarti il prima possibile in ospedale, ed è esattamente quello che non voglio. Guardo Davide. piango, non voglio andare…arriva Sara, mi visita e la sua presenza mi calma…in un attimo mi sento al sicuro, non sono sola, siamo una squadra…ce la faremo! Io Emma Sara e Davide siamo lì!

Sara mi dice che sono dilatata di un centimetro e che il battito è buono, va tutto bene, aspettiamo ad andare in ospedale, le acque sono chiare…Sono quasi le 10 di sera quando Sara è arrivata…ora le contrazioni sono sempre più vicine tra loro…ogni volta che arrivano sento il bisogno di muovermi e sento dentro di me una voce uscire per accompagnare quel dolore….Che dolore è? non lo so, è un dolore unico nel suo genere che inizia e finisce come se fosse una parentesi di qualcosa di nuovo che non avevo mai provato prima. Sono fitte ai reni ma che coinvolgono tutto il mio corpo.

La casa è semibuia, c’è accesa solo una lampada dalla luce calda, Sara è seduta sul divano, Davide mi guarda mentre ruoto sulla palla….nelle pause tra una contrazione e l’altra cerco di riprendermi ma Sara mi dice “lasciati andare, quando la contrazione passa devi rilassarti completamente…lasciati andare, abbandonati più che puoi”…ci provo, nelle pause dalla palla mi appoggio con il busto sul pouf mentre Davide mi massaggia all’altezza dei reni….

I ricordi si fanno sempre più confusi…i miei occhi ormai sono quasi sempre chiusi, perchè ho bisogno di concentrarmi per respirare…..e buttare fuori mentre respiro la voce….non so nemmeno di essere io ma sento la mia voce dire A….. non so quanto tempo passa…potrebbero essere minuti o ore…sono in uno stato alterato di coscienza in cui tutto intorno a me è distante.

Sara mi visita di nuovo e mi dice “ok adesso andiamo in ospedale!” …leggo nei suoi occhi qualcosa, qualcosa che è cambiato e che non capisco, le chiedo perchè? cosa succede e lei mi risponde che sono arrivata a 8 cm di dilatazione. Da lì è tutto veloce….prendere le borse, vestirmi, respirare, chiudere casa, respirare e la voce che dice Aaaa si fa sempre più forte. Ricordo che nel pianerottolo in attesa dell’ascensore ormai non posso camminare o muovermi quando arriva una contrazione….il viaggio in macchina abbracciata a Sara…è quasi l’una, le strade sono vuote l’ospedale è vicino ma a me sembra un viaggio infinito. Le contrazioni sono totalizzanti, niente esiste nel momento in cui le sento, solo un dolore diverso da tutto ciò che avevo provato in vita mia.

Sara intanto chiama l’ospedale e avvisa la sala parto per fortuna. Arrivo in pronto soccorso mi fanno subito salire in sala parto e mi fanno una visita veloce perchè intanto inizio a sentire l’impulso di spingere.

In sala parto c’è l’ostetrica di turno: Melania, un viso gentile, dolce, calmo. Nonostante tutti gli ospedali ti dicono che durante il parto avrai libertà di movimento nel giro di poco tempo mi ritrovo sdraiata sul lettino. Non so come mai, so solo che da quel momento io non so più dove sono e chi c’è intorno a me, il resto di questo viaggio è stato dentro di me! Il momento delle spinte è la cosa più atavica e animalesco che io abbia mai vissuto! Niente può fermare quell’impulso a spingere è come se in quella fase io ed Emma siamo state due e al tempo stesso una cosa sola. L’ostetrica mi dice di spingere solo quando sento la contrazione, farlo quando la contrazione non c’è vuol dire sprecare energia e non aiutare la bambina. La parola che mi viene in mente per descrivere quel momento è sinergia: io ed Emma dobbiamo spingere nello stesso momento. E così è, nel giro di poco tempo Emma nasce! Durante le ultime spinte una dottoressa che assiste al parto mi schiaccia la pancia, nel tentativo credo di aiutare l’uscita di Emma, ma di fatto quello che accade è che Emma nasce in pochissimo tempo e questo non l’aiuta ad adattarsi alla vita. Nasce alle 2.05 del 13 febbraio, e appena nata ha un punteggio apgar un po’ basso quindi la portano subito via per visitarla e metterla in una culla termica per un’ora.

E’ stato strano e spaventoso non vederla subito dopo averla partorita, ma ricordo esattamente quando me l’hanno fatta vedere prima di metterla nella culla, ricordo i suoi occhi grandi aperti e i capelli bagnati e all’insù, ricordo il suo sguardo stupito e curioso che ha ancora adesso.

Ricordo anche quanto rimasi stupita della reazione del mio corpo: subito dopo la sua nascita un tremore fortissimo mi percuoteva senza sosta, come i brividi di freddo ma molto più forti e incontrollabili. Mi coprono con delle coperte e quando finalmente il freddo e i tremori passano scendo dal lettino e vado in bagno. Tutto quello che il mio corpo ha vissuto nelle ultime 12 ore è come se fosse scomparso, come se il corpo fosse nato per fare quello che ha fatto, generare la vita, e adesso fosse pronto a riprendere la sua normalità.

Non posso dire che il parto sia stato il momento più bello della mia vita, ma quello che me l’ha cambiata si! Anche se sembra incredibile il corpo di una donna sa cosa deve fare, e non ha bisogno di pensieri o di preparazioni mentali ma solo che ci affidiamo a lui, completamente e senza dubbi. Il parto è stato un viaggio, un viaggio al centro di me!

Valentina, Davide ed Emma


PARTORIRE AI TEMPI DEL COVID:

IL RACCONTO DI CECILIA, ARCHITETTO

La notte in cui è stato concepito Gregorio ho sognato mia nonna, che è mancata qualche anno fa. Era da tanto che non la sognavo. Mia nonna è la mia parte istintiva, quella che mi dice ciò che io ancora non so coscientemente. Ho sognato che era sull’uscio di un edificio simile a un capannone; quando mi vedeva mi abbracciava forte e a lungo e mi diceva di entrare. Ma io le rispondevo che non potevo, che dovevo proprio andare perché avevo troppe cose da fare, anche se non sapevo ancora quali. Era la notte del 16 gennaio. Dopo due settimane io e Lorenzo siamo andati ad Edimburgo per un weekend, prenotato da tempo, ed io pensavo con fastidio che mi sarebbe arrivato il ciclo. Amiamo molto la Scozia ed Edimburgo, ci siamo stati varie volte, per noi è un luogo magico. Nonostante fosse gennaio avevo sempre un gran caldo, soprattutto di notte, e di mattina mi girava la testa, ma pensavo fosse il ciclo in arrivo e un po’ di stanchezza.

Appena tornata a Milano, senza ciclo, ho fatto il test di gravidanza, scoprendo con emozione ciò che già sospettavo e speravo.

La gravidanza è stata molto bella: nonostante l’abbia trascorsa in lockdown, sono sempre stata bene, niente nausee, vomito, niente di tutto ciò che avevo sempre sentito, ed anche emotivamente mi sentivo centrata. Ho sempre fatto yoga per tutti i mesi, prima da sola e poi in compagnia virtuale, e sentivo che anche Gregorio era tranquillo.

Il termine della gravidanza era previsto per il 7 ottobre, data che mi piaceva molto, un bimbo del segno della bilancia mi sembrava proprio bello, essendo io del segno dell’acquario. Ma dal quinto mese ho iniziato a dire alle persone con cui parlavo che secondo me sarebbe nato  prima,  di 3 settimane precisamente, diventando così un bimbo del segno della Vergine! Tutti, compreso Lorenzo, mi dicevano “ma no dai perché dovrebbe, i primi figli di solito fanno aspettare…”, e così allontanavo il pensiero.

Ho consultato il calendario lunare, e ho visto che la luna piena sarebbe stata il 1° ottobre, mentre quella nuova il 16 settembre o il 16 ottobre. Sempre convinta che sarebbe nato prima, ma persuasa che non sarebbe arrivato tre settimane prima, pensavo “nascerà con la luna piena”.

Ad agosto ero in montagna e ho camminato e dormito moltissimo, mi sentivo bene, anche se un po’ affaticata. Tornata a Milano ho lavorato fino alla prima settimana di settembre, poi ho sentito di voler smettere per prendere un mese solo per me. Il 14 settembre era l’anniversario di matrimonio dei miei genitori, così abbiamo passato la serata insieme, facendo le uniche foto che ho di me col pancione e i miei genitori. Tornati a casa, un secondo prima di addormentarmi, mi viene una domanda, che rivolgo a Lorenzo “al corso preparto hanno detto quanto aspettare prima di andare in ospedale se si rompono le acque?” E lui, già mezzo addormentato mi risponde “due ore?”. E con quel dubbio mi addormento.

L’idea del dolore del parto mi ha sempre fatto paura, quindi già da un po’ di giorni mi sentivo in ansia. Proprio per questa paura sono sempre stata dell’idea di volere l’anestesia epidurale, e così avevo già dato il consenso in ospedale.

Alle 6 del mattino del 15 settembre mi sveglia un dolore acuto al basso ventre, mi rigiro nel letto e sento qualcosa che cola. Mi alzo e in bagno capisco chiaramente che si è rotto il sacco amniotico! Sveglio Lorenzo e andiamo in ospedale.

Mi ricoverano e mi dicono che sono dilatata di 2 cm e il collo dell’utero è già raccorciato dell’80% e io completamente stranita dico “ma come, io non ho dolori…” e mi sento rispondere “meglio, di solito già per arrivare qui è doloroso”. Trascorro la giornata praticamente senza dolori, fino alle 16.30, ora in cui arriva Lorenzo.  Gregorio aveva deciso di aspettare il papà per far iniziare il travaglio attivo! Da quel momento le contrazioni si fanno vicine e sempre più forti.

Da quel momento tutto ciò che mi è venuto di fare è stato assecondare con la voce e il respiro quel dolore; non è stata una mia volontà, è stato come se non potessi fare altrimenti. Purtroppo Lorenzo non è potuto restare per le norme Covid, così dalle 20 sono rimasta sola. A quel punto sono entrata davvero in me stessa, nel profondo oscuro, ma il senso di paura che pensavo avrei avuto non c’era. Ero totalmente immersa col respiro e a contatto con Gregorio: gli occhi chiusi, sdraiata su un fianco, non mi veniva più l’istinto di vocalizzare, ho usato il respiro come mai avevo fatto, in modo profondo, ero praticamente in stato di trance, ogni tanto mi addormentavo.

Alla visita dell’ostetrica chiedo di avere l’epidurale, ma lei mi dice che è ancora presto. Solo dopo ho capito che probabilmente non si capiva quanto forti fossero le contrazioni! Ho dovuto dire che sentivo di dover spingere perché mi visitassero, per scoprire che a quel punto ero dilatata già di 8 cm!”Chiami pure suo marito e andiamo in sala parto”. “Ma come, di già? Senza epidurale?” Pensavo io.

E lì, in sala parto, ho compreso davvero perché siamo animali, nel senso più archetipico della parola: non esiste pudore, non esiste una posizione giusta o sbagliata in cui partorire e non potevo più tornare indietro, trattenere o rallentare ciò che era iniziato.  Potevo solo assecondarlo, usando tutta la mia voce ad ogni spinta, abbandonandomi completamente alla fine di ognuna per riprendere energia, e sentendo Gregorio che un po’ alla volta veniva alla luce. Alle 02.02, con un’unica spinta (mi dicevano “ancora tre spinte ed è fuori” e io ho lucidamente pensato “con una lo faccio uscire”) siamo passati dal buio alla luce, tutti e tre.

Un amico,  dopo il parto, mi ha chiesto a cosa assomiglia quel dolore di cui avevo tanta paura. Non l’ho saputo descrivere, sicuramente qualcosa di non paragonabile ad altro, ma ho capito cosa sia l’istinto più profondo e cosa significhi assecondarlo davvero. Ho compreso anche di non sottovalutare più le mie intuizioni, anche quelle che sembrano avere poco fondamento.

E così Gregorio è nato il 16 settembre, tre settimane prima del termine, con la luna nuova, del segno della Vergine, dopo esattamente 8 mesi dal sogno di mia nonna, alle 02.02 (palindromo di questo nefasto 2020),  regalandomi un parto completamente naturale!

Cecilia e Gregorio

IL RACCONTO DI ANA, SARTA

Delia è nata quasi un mese fa, e per fortuna posso dire che è nata nel modo che desideravo e come mi ero preparata nei 9 mesi di gravidanza. Volevo un parto naturale e totalmente consapevole di me stessa, con piena fiducia in Delia e con soltanto la compagnia del mio compagno Matteo. Non volevo interventi medici, non volevo intorno a noi disturbi esterni. C’era un motivo per cui non volevo essere accompagnata in questo viaggio da terze persone. Delia non è stata concepita nell’intimità tra me e Matteo, ma con una fecondazione in vitro, un processo lungo e in compagnia di tanti bravi medici che hanno reso possibile il concepimento di Delia, ne sarò sempre grata. Ma quando ho saputo che ero rimasta incinta avevo una cosa molto chiara, volevo una gravidanza e un parto in piena tranquillità e intimità con Matteo, ed è stata così che l’abbiamo vissuta.

Ricordo il giorno in cui sono iniziate le contrazioni, mancava ancora una settimana alla data presunta del parto. Quella mattina mi ero alzata con un leggero mal di schiena, mai avuto in tutta la gravidanza. Dopo cena Matteo mi ha proposto di fare insieme una delle mie lezioni online di yoga, per aiutare a passare il mal di schiena. Cosi, abbiamo ambientato la stanza di Delia con delle candele e insieme abbiamo fatto yoga. Una lezione piuttosto divertente da parte di Matteo, che non riusciva a fare gli esercizi. Ci siamo poi rilassati ascoltando il canto della mia insegnante Marta. Penso che abbiamo riempito quella stanza con così tanto amore, che due ore dopo ha iniziato il lungo viaggio delle contrazioni. Mi piace pensare di aver chiamato Delia e che lei abbia voluto stare insieme a noi nella sua stanza.

Quella notte ho dormito sul divano, Matteo a un certo un punto è andato a letto a riposare. Io sono rimasta con cellulare in mano in compagnia di mia sorella. Ero entusiasta, emozionata, tranquilla, ma anche spaventata. Insieme a lei ho trascorso tutta la notte misurando le contrazioni, che erano ancora deboli e irregolari, che mi permettevano di parlare con lei. Ogni volta che c’era un silenzio da parte mia, lei chiedeva: un’altra contrazione?

Ho visto uscire il sole, e per tutta la mattina siamo stati a casa tranquilli: abbiamo mangiato, cantato, ballato e riso a bocca aperta. Eravamo felici di pensare che presto avremmo conosciuto Delia.

Verso le 14.00 siamo andati in ospedale, anche se ancora era presto, ci hanno accolto e dato una stanza privata (almeno una cosa positiva ci ha regalato questo Covid!) con una grande finestra da dove vedevo tutta la montagna di Brunate, la stessa che vedo dalle finestre di casa nostra. Cosi mi sono sentita subito a casa. Abbiamo trascorso tutto il pomeriggio e parte della sera noi due da soli in quella stanza, guardando le montagne, parlando con Delia, superando contrazione dopo contrazione. Purtroppo verso le 22 le contrazioni hanno rallentato e hanno chiesto a Matteo di andare a casa a riposare, cosi da riposare anche io. Appena è andato via le contrazioni sono cambiate, sono diventate molto forti e vicine. Forse avevo paura di rimanere da sola. Sono entrata nella doccia e per più di mezz’ora ho fatto quello che facevo ogni sera a casa durante l’ultimo mese di gravidanza: ho cantato la ninna nanna che mia mamma aveva cantato qualche mese prima a Delia. Tra canto, pianti e primi urli ho parlato con Delia.

Subito dopo mi hanno portata nella sala parto con 7cm di dilatazione. Matteo è arrivato diretto in sala parto, ancora un po’ addormentato senza capire molto bene cosa stava per accadere. Ma quando ha visto che mi hanno provocato la rottura dell’acque e io ho iniziato a soffrire davvero, ha capito, ed è stato pronto ad affrontare le 5 ore piu forti della nostra vita. Ricordo che c’era un suono in quella stanza che mi ha trasportato nel mare in cui sono cresciuta. Mi sono immaginata in Spagna, nel mio mare con Delia, sotto l’acqua ad osservare i pesci passare. Non so quanto sia durato questo pensiero, ma so che mi ha aiutato e dato le forze per continuare a superare ogni contrazione. Ho urlato come non ho mai immaginato che io potessi urlare. Sempre noi da soli, Matteo e io. Matteo, io e Delia.

Dopo 4 ore l’osterica è arrivata e mi ha detto che era il momento di far nascere Delia, che lei mi avrebbe aiutato e guidato. E cosi mi sono affidata completamente a lei e al mio compagno. Spingevo e respiravo. Delia è nata alle 3.55 di notte del 5 novembre. Mentre mia mamma e mia sorella scrivevano e registravano la canzone più bella del mondo per Delia.

Non sono mai stata capace nei 9 mesi di gravidanza di immaginare mia figlia. Ma quando finalmente è stata appoggiata su di me e l’ho vista, ho solo pensato che era semplicemente perfetta. 

LA NASCITA DI DELIA